Vigilanza cooperativistica[1]

 LE FONTI DELLA DISCIPLINA

Tra i tipi di società previsti nel codice civile italiano, la cooperativa è l’unico tipo la cui disciplina imponga un controllo amministrativo sul rispetto del diritto societario. Dunque, questo controllo ha lo scopo di verificare che le cooperative rispettino costantemente i loro tratti funzionali e strutturali. Ma, allora, la vigilanza in commento non serve ad accertare l’osservanza, ad  esempio, del diritto tributario, del diritto del lavoro o del diritto della concorrenza applicabili alle cooperative, essendo questi diritti oggetto di altre vigilanze di tipo amministrativo non specificatamente concepite per le  cooperative. Il controllo amministrativo esaminato nel presente lavoro è solo prevalentemente enunciato nel codice civile, essendo compiutamente regolato altrove[2]. All’interno dell’articolata disciplina della vigilanza sulle cooperative spicca il d.lg. 2 agosto 2002, n. 220[3], il quale è legge speciale in senso solo formale (in ragione cioè della sua collocazione al di fuori dal codice civile); in effetti, questo decreto, al pari del suo precedente[4], si applica a tutti gli enti costituiti secondo il tipo ‘società cooperativa’, salva diversa espressa previsione (questa sì contenuta in leggi speciali anche in senso sostanziale)[5]. Come precisa l’art. 1, 5 comma, d.lg. n. 220/2002, la vigilanza sulle cooperative è regolata sia dallo Stato, sia da alcuni enti locali. Obiettivo di questo paragrafo è offrire una dettagliata disamina della disciplina vigente del controllo amministrativo sul rispetto del diritto societario delle cooperative. Tuttavia, come dovrebbe emergere leggendo le pagine successive, tale disciplina è spesso mal concepita, prolissa, scoordinata e/o ormai superata, anche a causa del fatto che la stessa è spesso il frutto di un continuo affastellamento normativo[6].

 

LA RATIONES DEL CONTROLLO

All’inizio dell’iter legis di ciò che sarebbe diventata la legge delega di riforma del diritto societario (ovvero la l. 3 ottobre 2001, n. 366) l’aspirante legislatore era orientato a circoscrivere la vigilanza sulle cooperative alle sole conformi al paradigma costituzionale tratteggiato nell’art. 45, 1° comma della Costituzione, corrispondenti (sulla base della disciplina vigente) alle cooperative a mutualità prevalente. Successivamente, tuttavia, il Parlamento decise di mantenere invariata l’impostazione codicistica del 1942 (probabilmente in ragione dei princìpi e criteri direttivi nel frattempo decisi mediante l'approvazione dell'art. 7, 1 comma, l. 3 aprile 2001, n. 142), indicando tutte le società riconducibili al tipo ‘società cooperativa’ come destinatarie del controllo oggi evocato nell’art. 2545-quaterdecies c.c. L’attuale ampiezza della vigilanza sulle cooperative è spiegata (nella relazione accompagnatoria allo schema di decreto, poi divenuto il d.lg. n. 6/2003 (12)) con il seguente ragionamento:

·         Tutte le cooperative hanno una funzione sociale costituzionalmente intesa;

·         Tutte possono essere pertanto trattate meglio delle società non cooperative (anche se l’art. 223-duodecies, 6 comma, disp. trans. c.c., attuativo dell’art. 5, 1 comma, lett. e), l. n. 366/2001, stabilisce che le «disposizioni fiscali di carattere agevolativo previste dalle leggi speciali» devono riservarsi alle sole cooperative a mutualità prevalente;

·         Tutte le cooperative devono essere vigilate allo scopo di verificare la loro osservanza costante dei caratteri giustificativi tale trattamento privilegiato [7].

Ancorare la disciplina in commento alla funzione sociale delle cooperative costituzionalmente intesa – ovvero alla capacità di questa forma d’impresa di inverare (secondo gradi diversi, in proporzione ai diversi livelli di funzione sociale riconoscibile alle varie tipologie di cooperative) i princìpi sanciti negli artt. 1 e 45 della Costituzione – dovrebbe portare ad un ripensamento della prassi in materia di vigilanza sulle cooperative. Tale vigilanza, infatti, non può limitarsi ad interventi formali su queste ultime, magari irrogando sanzioni solo dopo che la cooperativa interessata rappresenti ormai una potente negazione di quello che dovrebbe essere la sua funzione sociale, ma deve controllarle efficacemente, cercando contemporaneamente di promuoverne lo sviluppo, giacché, appunto, enti privati idonei «a trasferire sul terreno economico i principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale» [8].

 

GLI ENTI CONTROLLATI

La pubblica amministrazione, per poter controllare le cooperative, deve anzitutto conoscerle. Tale conoscenza è attualmente assicurata imponendo a qualsiasi cooperativa iscritta nel registro delle imprese di iscriversi altresì nell’albo delle società cooperative (articolato su base provinciale) o nei corrispondenti elenchi previsti  da alcune Regioni a livello regionale (come in Friuli Venezia Giulia) o provinciale (come in Trentino-Alto Adige/Südtirol). Da rimarcare è il fatto che sono sottoposte al controllo amministrativo in esame tutti gli enti costituiti in conformità con il tipo ‘società cooperativa’, quale che sia il loro modello organizzativo (quello regolato anche dalle norme sulla società per azioni, d’ora innanzi coop-s.p.a., ovvero quello regolato anche dalle norme sulla società a responsabilità limitata, d’ora innanzi coop-s.r.l.) e quale che siano le loro attività economiche svolte. Sono inoltre soggette al controllo in parola anche le coop-s.p.a. che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio (e le cooperative la cui specifica disciplina imponga il perseguimento di finalità ulteriori allo scopo mutualistico).

Le cooperative, oltre a dover tenere aggiornati i loro dati nei predetti elenchi, devono, annualmente, sia pubblicare nel registro delle imprese il loro bilancio d’esercizio (ai sensi dell’art. 2435, 1 comma, c.c.), sia comuni care in modo informatico «le notizie di bilancio» al Ministero dello sviluppo economico (artt. 10, 4 comma, l. n. 99/2009 e 223-sexiesdecies, 1 comma, disp. trans., c.c.) o all’ufficio amministrativo degli enti locali competenti. Naturalmente, la cooperativa sottoposta a controllo ministeriale, se appartenente ad un gruppo gerarchico, dovrà dimostrare al controllore che tale appartenenza non impedisca alla stessa l’osservanza dei requisiti mutualistici.

A complicare inutilmente il quadro normativo (specialmente se si pensa alla possibile completa informatizzazione degli elenchi degli enti soggetti alla vigilanza qui analizzata) e la corrispondente organizzazione della pubblica amministrazione chiamata ad attuarlo, il nostro legislatore ha previsto ulteriori elenchi per specifiche tipologie di cooperative. In particolare, rammento, a livello nazionale, l’albo nazionale delle società cooperative edilizie di abitazione e dei loro consorzi che intendano ottenere contributi pubblici (ai sensi dell’art. 13 l. n. 59/1992), mentre a livello regionale, gli elenchi degli enti  testé citati (sempre ai  sensi dell’art. 13  l.  n.  59/1992)  e gli albi delle cooperative sociali (ai sensi dell’art. 9 l. 8 novembre 1991, n. 381). (Un maggiore approfondimento sul tema controlli è sintetizzato nell’allegato 2).

 



[1] Cusa E. (2012), “Il controllo amministrativo sulle cooperative”, in Giurisprudenza Commerciale.

[2] Il codice civile (artt. 2545-sexiesdecies - 2545-octiesdecies c.c.) si limita infatti a tratteggiare alcune sanzioni irrogabili a seguito dell’espletata vigilanza analizzata in queste pagine.

[3] Da segnalare che il suddetto decreto disciplina la vigilanza sulle cooperative dal 1° gennaio 2004 e dalla stessa data è vigente la riforma civilistica delle cooperative (ai sensi  dell’art. 10 d.lg. 17 gennaio 2003, n. 6). Per un commento sul d.lg. n. 220/2002 cfr. Pallotti,  La riforma del sistema di vigilanza delle cooperative alla luce del d.lgs. n. 220/2002 (primi approcci operativi), in Riv. dir. impr., 2004, 53. 

[4] Ovvero il d.lg.c.p.s. 14 dicembre 1947, n. 1577 (meglio conosciuto come la legge Basevi), il quale (come ricordava Verrucoli, “Per una riforma della società cooperativa”, in Riv.  dir. comm., 1974, I, 1 s.), benché avrebbe dovuto costituire una disciplina provvisoria della vigilanza sulle cooperative, è stato (quasi interamente) abrogato solo con il d.lg. n. 220/2002

[5] Dalla disciplina comune della vigilanza sulle cooperative si differenzia parzialmente quella sulle banche di credito cooperativo, la quale ruota attorno al d.m. 22 dicembre 2005, approvato in attuazione dell’art. 18 d.lg. n. 220/2002 e applicato a queste banche a partire dal 1° gennaio 2007.

[6] Secondo Bonfante, “Aiuti di Stato alla cooperative: la decisione della Corte UE”, in Coop. Cons., 10/2011, 8 «l’origine i una indubbia parziale inadeguatezza dei controlli [sulle cooperative] ha motivazione solo ed esclusivamente “politici”, legata, cioè, alla carenza di risorse messe a disposizione dallo Stato per questa attività».

[7] Così, espressamente, la relazione accompagnatoria indicata nel testo: « i criteri prescelti dal legislatore per identificare la cooperazione costituzionalmente riconosciuta [ai sensi dell’art. 45, 1 comma, Cost., ovvero quella formata dalle cooperative a mutualità prevalente]  (…) non esprimono forse per intero il reale valore dell’impresa mutualistica (appunto: la sua funzione sociale); valore che va cercato sul piano dei bisogni che la cooperativa soddisfa (casa, lavoro ecc.), su quello della categoria sociale al cui servizio la cooperativa si pone; ed infine, anche su alcune regole strutturali (voto pro capite, porta aperta) estranee alla organizzazione delle società ordinarie. Pertanto, anche le cooperative diverse dalle riconosciute si prestano a realizzare i valori fondamentali della cooperazione mutualistica (...) [e dunque] anche le cooperative diverse hanno funzione sociale; e che anche le cooperative diverse, avendo funzione sociale, hanno o conservano lo statuto privilegiato e i benefici (tranne quelli tributari) che l’ordinamento collega alla società cooperativa in quanto tale, senza ulteriori aggettivi o specificazioni. (…). Questa premessa ha indotto ad una coerente conclusione: se è vero che tutte le cooperative sono destinatarie di un trattamento privilegiato (non disparitario costituzionalmente perché mirato a incentivare e premiare  imprese con un valore in più di  quelle ordinarie,  quello della funzione sociale) tutte le cooperative, e non solo quelle riconosciute, dovranno essere sottoposte a quel tipo di vigilanza che mira a verificare che i soggetti destinatari dello statuto privilegiato posseggano e mantengano nel tempo i requisiti e i presupposti dai quali la  legge fa discendere il trattamento  privilegiato».

[8] Nigro (1980), in Art. 45-47, “Commentario della Costituzione Branca”, Bologna – Roma.