COOPERATIVE - la storia e Il quadro normativo

La legislazione è stata un elemento basilare che ha permesso di plasmare e orientare il movimento cooperativo fino ad oggi. Il primo codice che regolava il sistema coop fu il Codice di commercio del 1882, esso descriveva la cooperativa come un’impresa gestita da soci-lavoratori applicando un principio di uguaglianza democratica (una testa, un voto) ma che non aveva particolari vincoli in fatto di divisione degli utili o delle scelte mutualistiche né particolari agevolazioni fiscali. Con il passare degli anni, numerose furono le revisioni e le implementazioni riguardo tale argomento, le norme affrontavano aspetti particolari lasciando all'autonomia privata il darsi uno statuto proprio. È possibile affermare che nell'Italia liberale prevale il principio di neutralità dello Stato che lascia autonomie importanti alla cooperazione privata. Ciò ha consentito la nascita di una vastissima poliedricità delle cooperative, libertà che è stata assai ridimensionata se non annichilita, durante il periodo fascista. La cooperazione in quegli anni veniva vista negativamente in quanto rafforzava un spirito imprenditoriale autonomo e non dipendente da uno Stato accentratore.

Solo con la fine del fascismo e il ritorno dell’Italia ad una dimensione democratica, il movimento cooperativo torna ad essere protagonista della ricostruzione morale e materiale del Paese. L’articolo 45 della costituzione, infatti, afferma che:

 

"La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l'incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità".

 

    Ecco che lo Stato riconosce alla cooperazione una marcia in più, quelle caratteristiche assai positive che potevano permettere la rinascita economica e sociale di un’Italia straziata dalla guerra. La legislazione italiana sulla cooperazione ebbe come colonna portante la legge Basevi che dava una prima impronta all'adozione del dettato costituzionale[1]. La legge n. 1577 del 14 dicembre 1947, meglio nota, appunto, come “legge Basevi”, disciplina la materia cooperativa nella nuova Italia democratica e repubblicana. Nel secondo dopoguerra, il movimento cooperativo fu uno dei protagonisti del ritorno alla normalità, interprete di una febbrile attività di ricostruzione. Molte delle culture politiche che avevano combattuto il fascismo e che all'indomani della Liberazione avevano guadagnato a vario titolo una responsabilità di governo giudicavano positivamente l’impresa cooperativa, intesa come una forma di produzione e di aggregazione sociale priva di intenti speculativi. E così, agli albori del 1948 – quando sarebbe entrata in vigore la nuova Costituzione repubblicana, tra cui il già citato articolo 45 – il Parlamento approvò a larga maggioranza la cosiddetta legge Basevi. Si trattò di una vera e propria pietra miliare della legislazione cooperativistica. Infatti, tra le varie disposizioni, prevedeva l’istituzione presso la Banca nazionale del lavoro di una sezione speciale per concedere crediti alle cooperative a tassi agevolati; inoltre, introduceva e regolamentava la vigilanza, ossia una periodica verifica che le cooperative non fossero solo una finzione opportunistica che celava un’impresa di capitali.

Ma soprattutto, la legge Basevi introduceva dei vantaggi fiscali a fronte di alcuni vincoli, quali la limitata remunerazione del capitale (inferiore al 5%), il divieto della distribuzione ai soci delle riserve, e la devoluzione a scopi di pubblica utilità dell’intero patrimonio sociale (dedotto il capitale versato) in caso di scioglimento della società. Inoltre – fatto più importante di tutti – riconosceva che la cooperativa si reggeva sui principi della mutualità e creava così le premesse al divieto di demutualizzazione. Dunque implicitamente stabiliva che le cooperative non potessero trasformarsi in imprese di capitali; questa proibizione era definitivamente avallata da una sentenza della Corte di Cassazione del 17 aprile 1959 [2]. Questa legge fu importante per due motivi principali. Innanzi tutto contribuì a fissare alcuni paletti fondamentali per lo sviluppo del movimento cooperativo italiano, incanalandolo in un percorso di progressiva crescita. In tal senso, la normativa fu capace di risolvere almeno in parte uno dei problemi strutturali delle cooperative, comune a questo genere d’impresa in quasi tutto il mondo, e cioè la sotto-patrimonializzazione. In questo caso, infatti, il divieto di distribuzione (e privatizzazione) degli utili – sostituiti dal semplice ristorno – faceva sì che gran parte degli avanzi di gestione venisse reinvestito nell'impresa, a creare anno dopo anno e bilancio dopo bilancio una riserva di liquidità che si sarebbe rivelata strategica per lo sviluppo aziendale. Il secondo motivo per cui la legge Basevi merita di essere ricordata è la sua equidistanza dalle principali culture politiche dell’epoca. Infatti, nell'Italia di quegli anni, buona parte delle imprese cooperative si riconosceva in un orientamento marxista, o in uno cattolico, o ancora in uno liberal-democratico. E sulla base dei differenti valori espressi da queste ideologie, ogni cooperativa si organizzava in maniera autonoma, a rimarcare un preciso allineamento culturale.

Nel 1971, la legge n.127 soprannominata “miniriforma” delle imprese cooperative interviene sulla questione del rafforzamento imprenditoriale della cooperativa introducendo nuove specificità fiscali come il prestito sociale e altre forme di credito speciale. Ma l’imprinting vero e proprio è stato fornito da tre leggi successive [3]:

·         Legge n.904 del 1977, detta legge Pandolfi, favoriva il rafforzamento economico delle cooperative, escludendo dal reddito imponibile le riserve indivisibile e non distribuibili fra i soci. Questo significava che più la cooperativa decideva di non distribuire gli utili e destinarli alla capitalizzazione tanto più godevano di vantaggi fiscali.

·         Legge n.72 del 1983, detta Visentini bis, riformulava la rivalutazione monetaria dei beni e del capitale delle imprese stabilendo che le cooperative potevano diventare o costituire S.p.a..

·         Legge n. 52 del 1992 introduceva la figura del socio sovventore, vale a dire un numero limitato di soci che potessero investire nella cooperativa con finalità lucrative.

Ad oggi la legislazione non si è ancora fermata producendo e intervenendo sempre di più nel quadro normativo, segno dello sviluppo costante di tale settore.

 

1 Leggi di riferimento.

La normativa di riferimento è la Legge n. 366 del 3 ottobre 2001 e il D. Lgs n°1711/2003 e successive modificazioni, oltre alle Leggi Speciali per le cooperative: la Legge n. 59/92 e per le cooperative sociali la Legge n. 381/91.

 

1.1 Cooperative in generale

Il nuovo decreto n° 1711 ha suddiviso le cooperative in due grandi generi:

·         Le cooperative a mutualità prevalente sono quelle che[4]:

- Svolgono la loro attività prevalentemente in favore dei soci, ad esempio soci consumatori di beni, soci che usufruiscono dei servizi della cooperativa;

- Svolgono la loro attività con il lavoro dei soci e hanno lo scopo di creare lavoro per i soci;

- Si avvalgono prevalentemente, nello svolgimento della loro attività, degli apporti di beni o servizi da parte dei soci.

La prevalenza si misura in termini monetari risultanti dal bilancio consultivo ovvero[5]:

- La cooperativa di lavoro deve avere in bilancio compensi per il lavoro dei soci almeno pari al 51% del totale del costo delle retribuzioni;

- La cooperativa di  consumo deve vendere i propri prodotti per almeno il 51% del totale del venduto ai soci;

- la cooperativa di conferimento di prodotti agricoli deve operare con l’apporto dei prodotti dei soci almeno per il 51% del totale dei conferimenti degli agricoltori.

 

Inoltre possiedono dei limiti stabiliti dall'articolo 2514:

 

“Le cooperative a mutualità prevalente devono prevedere nei propri statuti:

a) il divieto di distribuire i dividendi in misura superiore all'interesse massimo dei buoni postali fruttiferi, aumentato di due punti e mezzo rispetto al capitale effettivamente versato;

b) il divieto di remunerare gli strumenti finanziari offerti in sottoscrizione ai soci cooperatori in misura superiore a due punti rispetto al limite massimo previsto per i dividendi;

c) il divieto di distribuire le riserve fra i soci cooperatori;

d) l'obbligo di devoluzione, in caso di scioglimento della società, dell'intero patrimonio sociale, dedotto soltanto il capitale sociale e i dividendi eventualmente maturati, ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione.

 

Le cooperative a mutualità prevalente sono le uniche ad oggi che possono godere di agevolazioni fiscali; le cooperative “diverse” godono solo di alcuni trattamenti privilegiati specifici riservati alle cooperative in generale.

·         Le cooperative a mutualità non prevalente, dette anche “diverse” sono tutte le altre.

 

Le società cooperative a mutualità prevalente s’iscrivono in un apposito Albo, presso il quale depositano annualmente i propri bilanci, (che devono contenere la dimostrazione della attività prevalente.) L’Albo è tenuto dal Ministero delle Attività Produttive, ma l’iscrizione ad esso va fatta al Registro delle Imprese c/o CCIAA dove ha la sede la cooperativa. Le cooperative s’iscrivono all’Albo Nazionale delle Cooperative a Mutualità Prevalente nelle sezioni[6]:

·         Cooperative di consumo: Si costituiscono con lo scopo di assicurare ai soci-consumatori la fornitura di beni, sia di consumo che durevoli, a prezzi più contenuti di quelli correnti di mercato. Per raggiungere tale scopo gestiscono punti vendita ai quali possono accedere i soci, e, previo rilascio dell’apposita licenza di vendita, anche i non soci. Sono tipicamente cooperative di “utenza”.

·         Cooperative di produzione e lavoro: Si costituiscono per permettere ai soci di usufruire di condizioni di lavoro migliori, sia in termini qualitativi che economici rispetto a quelli disponibili sul mercato del lavoro. Queste cooperative svolgono la propria attività sia nella produzione diretta dei beni che nella fornitura dei servizi. Si tratta della tipologia di cooperativa di “lavoro”.

·         Cooperative agricole: Sono costituite da coltivatori e svolgono sia attività diretta di conduzione agricola, sia attività di commercializzazione e trasformazione dei prodotti agricoli conferiti dai soci. Sono normalmente cooperative di “supporto” quando i soci sono imprenditori agricoli e il rapporto con la cooperativa è basato sul conferimento dei prodotti (Cooperative di conferimento prodotti agricoli e allevamento). Possono essere di “lavoro” quando trattasi di conduzione agricola come le cooperative bracciantili (Cooperative di lavoro agricolo).

·         Cooperative edilizie di abitazione: Rispondono alle esigenze di soddisfare un bisogno abitativo delle persone, realizzando complessi edilizi che vengono poi assegnati ai soci in proprietà se la cooperativa è a “proprietà divisa” o in diritto di godimento se la cooperativa è a “proprietà indivisa”. Sono sempre cooperative di “utenza”.

·         Cooperative di trasporto: Associano singoli trasportatori iscritti all’Albo, garantiscono loro servizi logistici, amministrativi, di acquisizione delle commesse, o gestiscono in proprio i servizi di trasporto a mezzo di soci-lavoratori. Se associano trasportatori “imprenditori”, rientrano nella tipologia di “supporto”; se associano trasportatori soci/lavoratori si rifanno alla tipologia di “lavoro”.

·         Cooperative della pesca: Sono costituite da soci pescatori e svolgono attività con un impegno diretto dei soci o attività di servizio ai propri associati, quali l’acquisto di materiale di consumo o di beni durevoli, o la commercializzazione dei prodotti ittici, o la loro trasformazione. Come per le cooperative di trasporto sono di “supporto” se associano soci/imprenditori e di “lavoro” se associano soci/lavoratori.

·         Cooperative di dettaglianti: Sono costituite da soci imprenditori che svolgono attività nel settore del commercio ai quali garantiscono servizi di acquisti collettivi, amministrativi, finanziari. Sono normalmente cooperative di “supporto”.

·         Cooperative sociali: Sono cooperative regolamentate dalla legge 381 del 1981 e hanno come scopo quello di perseguire l’interesse generale della comunità alla promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini.

 

Nel particolare le cooperative sociali distinte in cooperative di produzione, lavoro e sociale e le cooperative agricole e sociale, sono costituite in base alla legge n. 381/1991, hanno lo scopo di “perseguire l'interesse generale della comunità volto alla promozione umana e all'integrazione sociale dei cittadini attraverso:

a)      la gestione di servizi socio-sanitari ed educativi;

b)      lo svolgimento di attività diverse - agricole, industriali, commerciali o di servizi - finalizzate all'inserimento lavorativo di persone svantaggiate.

Da qui la definizione, ormai entrata nel linguaggio cooperativo, di cooperative sociali di tipo A e di tipo B. Le cooperative sociali sono sempre considerate a mutualità prevalente e sono ONLUS di diritto (Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale)”[7]. Tale caratteristica delle cooperative determina alcuni vantaggi fiscali[8] in quanto appunto si perseguono “fini sociali” ma tale status determina l’impossibilità per le cooperative di trasformarsi in società a scopo di lucro. Questa può essere effettuata solo dalle cooperative diverse da quelle a mutualità prevalente. Ma ciò non significa che la “mutualità prevalente” non possa essere persa, infatti, il titolo decade quando:

·         la cooperativa non rispetta per 2 esercizi consecutivi le condizioni della prevalenza ovvero se in due bilanci consecutivi risulta che il lavoro dei soci, oppure la vendita dei prodotti, oppure i conferimenti dei prodotti e dei servizi a favore dei soci risultano meno del 50% del totale complessivo dei valori di riferimento per misurare la prevalenza;

·         la cooperativa modifica lo statuto, escludendo in tutto o in parte le clausole mutualistiche obbligatorie per le cooperative a mutualità prevalente.

 



[1] Fonte: T. Menzani, “Cooperative: persone oltre che imprese”, Rubbettino, 2015.

[2] Archivi Fondazione Memorie Cooperative, “Approvazione della legge Basevi sulla cooperazione” 14 dicembre 1947.

[3] Fonte: T. Menzani, “Cooperative: persone oltre che imprese”, Rubbettino, 2015.

[4] Articolo 2512 cc

[5] Articolo 2513 cc

[6] Macramè, “La cooperazione: caratteristiche ed adempimenti amministrativi”

[7] Legge 8 novembre 1991, n. 381, "Disciplina delle cooperative sociali", (Pubblicata nella Gazz. Uff. 3 dicembre 1991, n. 283)

[8] Art.7 Legge 8 novembre 1991. Regime tributario.

 1. Ai trasferimenti di beni per successione o donazione a favore delle cooperative sociali si applicano le disposizioni dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 637.

2. Le cooperative sociali godono della riduzione ad un quarto delle imposte catastali ed ipotecarie, dovute a seguito della stipula di contratti di mutuo, di acquisto o di locazione, relativi ad immobili destinati all'esercizio dell'attività sociale.

 3. Alla tabella A, parte II, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, è aggiunto il seguente numero:

"41 bis - prestazioni socio-sanitarie, educative, comprese quelle di assistenza domiciliare o ambulatoriale, o in comunità e simili, o ovunque rese, in favore degli anziani ed inabili adulti, di tossicodipendenti e malati di AIDS, degli handicappati psicofisici, dei minori, anche coinvolti in situazioni di disadattamento e di devianza, rese da cooperative e loro consorzi, sia direttamente che in esecuzione di contratti di appalto e di convenzioni in generale" (così modificato dalla L., 22 marzo 1995 n. 85)